E’ quello che si vorrebbe fare dopo aver letto l’articolo di So e collaboratori, pubblicato questo mese su una delle riviste reumatologiche più prestigiose e che illustra i risultati di uno studio sull’efficacia di denosumab nel ridurre le erosioni ossee, lesioni patognomoniche della artrite reumatoide stessa.
Le erosioni ossee sono uno degli elementi che indicano la severità dell’artrite reumatoide e la loro valutazione viene utilizzata per quantificare la progressione di malattia. La HR-pQCT è una delle metodiche che si sta dimostrando in grado di valutare in maniera più sensibile la microarchitettura ossea delle piccole articolazioni.
In questo studio è stata valutata la progressione delle erosioni esistenti e la comparsa di nuove lesioni a livello della 2^-3^ e 4^ testa metacarpo-falangea (sedi tipicamente colpite dalla malattia) con la HR-pQCT.
E’ importante sottolineare alcuni elementi per comprendere la rilevanza dei risultati. Per prima cosa il trattamento con denosumab è stato aggiunto alla tradizionale terapia per l’artrite (con DMARDs e/o farmaci biotecnologici) che già ha dimostrato di rallentare la progressione radiografica. Il secondo elemento da considerare è l’attività di malattia della popolazione studiata. Al baseline infatti i valori medi di DAS 28 (score che valuta l’attività di malattia attraverso vari parametri tra cui il numero di articolazioni dolenti e tumefatte e la PCR) erano indicativi di una bassa attività di malattia in entrambi i gruppi di trattamento. Non sono state osservate inoltre differenze significative nei livelli di attività di malattia nei due bracci dello studio in tutte le valutazioni eseguite nei 24 mesi di follow-up. Nonostante il buon controllo clinico della malattia alcuni pazienti hanno presentato una progressione del danno radiografico. I pazienti nel braccio di trattamento con denosumab, a parità di attività di malattia e di terapia assunta, hanno presentato un minor numero di nuove erosioni e una minore progressione volumetrica delle lesioni già presenti rispetto ai soggetti che hanno assunto placebo.
Dal punto di vista clinico lo studio ci ricorda come anche i pazienti asintomatici, con bassa attività di malattia o addirittura in remissione, possano andare incontro a progressione radiografica probabilmente dovuta alla persistenza di uno stato di infiammazione di basso grado comunque in grado di attivare gli osteoclasti. Ci dimostra inoltre che il denosumab è in grado di incidere significativamente riducendo il numero di erosioni e la loro progressione proprio in queste situazioni. I risultati di questo studio non hanno ovviamente ancora la forza per supportare l’impiego di denosumab come terapia dell’artrite reumatoide ma a parere di chi scrive serve a ricordarci che l’osteoporosi è uno dei determinanti della progressione dell’artrite e che avviare una terapia anti-riassorbitiva in particolare con denosumab in un paziente osteoporotico affetto da artrite reumatoide può permettere di ottenere un duplice risultato con un solo farmaco: la riduzione del rischio di frattura e un contributo nel rallentare la progressione della malattia reumatologica
