Trattare o non trattare i giovani con osteoporosi?
Quali farmaci utilizzare?
Come fare la diagnosi?
Sono solo alcuni dei dubbi che gli autori di questa review cercano di chiarire.
La gestione dell’osteoporosi giovanile seppur meno frequente rispetto alle classi di età più avanzate rimane un problema aperto nella pratica clinica ambulatoriale
In questo lavoro vengono riassunte le evidenze disponibili, seppur scarne rispetto agli altri settori di ricerca, in termini diagnosi e terapia dell’osteoporosi in donne in premenopausa ed in uomini sotto i 50 anni.
Gli elementi chiave di questa attenta disamina si possono a mio avviso così riassumere:
- il primo passo per prevenire l’osteoporosi giovanile è garantire il raggiungimento di un picco di massa ossea adeguato. Per fare questo è importante ricordare il ruolo degli steroidi sessuali ma anche della genetica e di alcuni stili di vita. In particolare pensando ai fattori modificabili è importante ricordare che l’attività fisica in età adolescenziale è in grado di modificare la resistenza ossea con aumento delle dimensioni areali delle ossa lunghe, che il basso peso corporeo ha un effetto osteopenizzante anche perché può indurre amenorrea e che il fumo può ridurre la densità minerale ossea sia a livello vertebrale che femorale;
- l’osteoporosi giovanile idiopatica è un’evenienza poco frequente: bisogna pertanto prima di tutto escludere la presenza di malattie croniche durante l’infanzia e la giovinezza che abbiano interferito con l’acquisizione di un buon picco di massa ossea. In tal senso utile ricordare tutte le situazioni infiammatorie (indipendentemente dal distretto di partenza), il malassorbimento, la perdita di peso e varie malattie endocrine ed ematologiche nonché l’effetto iatrogeno di farmaci come ad esempio i glucocorticoidi;
- non vi è pieno accordo su quale soglia densitometrica utilizzare nei giovani adulti per la diagnosi strumentale di osteoporosi secondaria. Ad esempio la ISCD raccomanda l’utilizzo dello Z-score mentre la IOF suggerisce l’uso del T-score anche in questi pazienti. Da ricordare che sono stati pubblicati pochissimi studi che abbiano correlato il rischio di frattura allo Z-score. E’ stato ipotizzato anche l’utilizzo di tecniche alternative quali il TBS e l’HSA ma non vi sono dati sufficienti per raccomandarne l’uso nella pratica clinica quotidiana;
- gli studi che hanno valutato l’efficacia dei trattamenti per l’osteoporosi in donne in premenopausa e uomini sotto i 50 anni sono pochi e con casistiche poco numerose. Il problema più rilevante è ovviamente quello delle donne in epoca premenopausale che potenzialmente potrebbero andare incontro ad una gravidanza. Nessuno dei farmaci per l’osteoporosi è approvato infatti in gravidanza anche se non vi sono report sia in pazienti trattate per l’osteoporosi che per altre malattie metaboliche ossee (ad esempio osteogenesi imperfetta) di eventi avversi significativi sia per la madre che per il feto. Dal punto di vista concettuale l’uso di teriparatide che non determina retention ossea potrebbe essere rassicurante. Dal punto di vista dell’efficacia tutti i farmaci utilizzati nell’osteoporosi giovanile (bisfosfonati orali con alendronato in primis, denosumab e analoghi del PTH) hanno determinato un incremento significativo della BMD ma non vi sono casistiche adeguate per valutarne un effetto anti-fratturativo;
- il trattamento dovrebbe basarsi sul rischio di frattura. Gli autori, sulla base della loro esperienza, non essendoci linee guida o raccomandazioni al riguardo, suggeriscono in caso di frattura da fragilità o Z-score < -2 di correggere tutti i fattori di rischio modificabili (adeguare apporto di calcio e vitamina D, smettere di fumare, fare adeguato esercizio fisico, fare supplementazione ormonale negli ipogonadici se non controindicato), di trattare le patologie sottostanti e riservare il trattamento farmacologico ai pazienti in terapia cronica con glucocorticoidi o con fratture da fragilità maggiori.
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