Le fratture vertebrali rappresentano una delle maggiori complicanze dell’osteoporosi e sono gravate da importante morbidità e mortalità. A ciò si aggiunge che una pregressa frattura vertebrale comporta un aumentato rischio di sviluppare una nuova frattura, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla frattura stessa.
Nella valutazione complessiva del rischio fratturativo di un paziente, la presenza di una frattura vertebrale descrive una condizione ad alto rischio. Da questo deriva l’importanza di identificarla e trattarla.
Tuttavia la maggior parte delle fratture vertebrali non viene clinicamente riconosciuta e quindi esse sono spesso sottodiagnosticate. La valutazione della frattura vertebrale mediante densitometria ossea (VFA) rappresenta un potenziale strumento di indagine. Essa, tuttavia, non è eseguita routinariamente.
In un recente lavoro pubblicato su Osteoporosis International, gli autori hanno indagato la probabilità di identificare una frattura vertebrale mediante VFA, in 12.756 pazienti con pregresse fratture. Nel 15% dei pazienti sottoposti a densitometria ossea, sono state identificate fratture vertebrali non precedentemente diagnosticate. Pregresse fratture di femore, omero, pelvi, avambraccio, sono risultate associate ad un maggior rischio di fratture vertebrali non precedentemente diagnosticate.
Nei pazienti ultrasettantenni con bassa densità minerale ossea che afferiscono ad una Fracture Laison Service (FLS) per pregresse fratture, la VFA rappresenta un utile strumento per indagare la presenza di fratture vertebrali e, di conseguenza, per stratificare il rischio fratturativo del paziente e orientare verso la scelta terapeutica più appropriata.
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