Sia lo zoledronato che il denosumab rappresentano strategie terapeutiche efficaci e sicure nell’osteoporosi maschile associata ad HIV. Sono queste le conclusioni dello studio pubblicato dai colleghi greci su Bone Reports di questo mese. Nella valutazione dei risultati dello studio è necessario tenere ben presente che si tratta di uno studio prospettico in aperto su una casistica di 37 pazienti . Tuttavia la lettura dello studio consente alcune puntualizzazioni sull’argomento. I pazienti affetti da HIV ed in modo particolare quelli che assumono terapia antiretrovirale hanno infatti una BMD inferiore rispetto alla popolazione generale. Inoltre alcuni studi hanno chiaramente dimostrato come questi soggetti siano anche a più elevato rischio di frattura e spesso con valori di BMD ancora conservati. Nonostante queste premesse, l’attuale gestione dell’osteoporosi nei soggetti con HIV è ancora assimilabile nella maggior parte degli Stati a quella della popolazione generale. In questo studio erano infatti arruolabili (come da linee guida in Grecia) soggetti con BMD <-2.5 a livello della colonna o del femore, pazienti con almeno 1 frattura vertebrale o femorale oppure due fratture non vertebrali o maschi con rischio di frattura a 10 anni valutato con il FRAX di femore del 2,5-5% ( a seconda dell’età meno o più elevata rispettivamente) e di fratture osteoporotiche maggiori del 10-15%). I farmaci che vengono comunemente utilizzati in questa forma di osteoporosi sono i bisfosfonati. Nei pazienti con HIV e ancor più in corso di terapia con antiretrovirali è stato dimostrato un incremento dei markers di turnover osseo che rappresenta il razionale maggiore all’uso degli anti-riassorbitivi. Il denosumab tuttavia è stato poco studiato in questa categoria di pazienti forse per dubbi sul rischio di infezioni in pazienti con bassi livelli di linfociti CD4. Nel report di questo mese i pazienti trattati con denosumab hanno mostrato delle variazioni densitometriche a 12 mesi sovrapponibili a quelle ottenute con lo zoledronato e in linea con quanto riportato negli studi registrativi nella popolazione generale. Non sono stati osservati eventi avversi ed in particolare non sono stati riportati casi di infezioni sia respiratorie che cutanee o urinarie. Questo supporta i dati già presenti in letteratura che l’uso di denosumab deve essere ritenuto sicuro nei soggetti con viremia soppressa e CD4+ superiori a 200/L. Sempre sul profilo della safety è da sottolineare (seppur con i limiti del numero esiguo di pazienti) che nessuno dei pazienti ha avuto reazione di fase acuta in seguito alla somministrazione di zoledronato. E’ stato dimostrato come l’insorgenza della reazione di fase acuta potrebbe essere legata alla proliferazione dei linfociti gamma-delta nonché ai livelli di vitamina D. In questo studio tutti i pazienti lli normali di 25OH vitamina D ed erano supplementati con colecalciferolo. I pazienti trattati con zoledronato presentavano valori significativamente superiori a quelli trattati con denosumab. Credo tuttavia che il fatto che non si siano verificati casi di risposta di fase acuta debba essere in primis ricondotto all’effetto sia della terapia con anti-retrovirali che dell’infezione da HIV per se sulla popolazione linfocitaria. Un dato a mio avviso molto interessante è quello infine che si viene restituito dall’analisi del gruppo di controllo che ricordo era costituito da soggetti con HIV e in terapia antiretrovirale ma con BMD normale al momento dell’arruolamento. In questi soggetti nonostante una supplementazione con calcio e vitamina D è stato osservato un calo significativo della BMD. Dobbiamo quindi ricordarci nella pratica clinica quotidiana di studiare dal punto di vista osteometabolico questi pazienti, di non accontentarci della correzione del deficit di calcio e vitamina D per trattarli e che il FRAX potrebbe sottostimare il rischio di frattura di questi pazienti.
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