L’insufficienza renale cronica (IRC) rappresenta una comorbidità frequente nelle donne in postmenopausa con osteoporosi, con una prevalenza tra il 12 e il 16% nelle donne ultrasessantacinquenni negli Stati Uniti. Una riduzione della funzionalità renale di grado moderato-severo si osserva approssimativamente nell’85% delle donne con osteoporosi. La compromissione della funzione renale predispone i soggetti a disordini metabolici dello scheletro che, inducendo alterazioni quantitative e qualitative del tessuto osso, comportano un aumentato rischio di frattura. Dati dallo studio NHANES III (Third National Health and Nutrition Examination Survey) riportano una prevalenza di frattura di femore doppia nei pazienti con una velocità di filtrazione glomerulare (eGFR) ≤60ml/min rispetto ai partecipanti con normale funzione renale ed un tasso di mortalità dopo frattura tre volte superiore rispetto a soggetti di pari età.
In considerazione del rischio di frattura, diventa fondamentale, in questo setting di pazienti, valutare efficacia e sicurezza dei farmaci. Nei trials clinici vengono spesso esclusi i pazienti con grave insufficienza renale o malattia renale in fase terminale. I bisfosfonati sono farmaci di prima linea nel trattamento dell’osteoporosi e risultano ben tollerati nei pazienti con IRC lieve-moderata, tuttavia non sono raccomandati nei pazienti con severa compromissione della funzione renale. Nei pazienti con disfunzione renale una valida opzione terapeutica è rappresentata dal denosumab.
Un recente studio ha valutato efficacia e sicurezza di romosozumab in donne in menopausa con osteoporosi e insufficienza renale di grado lieve-moderato. Pur con i limiti legati al tipo di analisi, i risultati che ne derivano suggeriscono che il romosozumab sia efficace nell’aumentare la BMD e nel ridurre il rischio di frattura nelle pazienti con riduzione della funzionalità renale da lieve a moderata, con un profilo di sicurezza simile per i diversi livelli di funzione renale. Ulteriori studi si rendono necessari per valutarne l’efficacia in pazienti con severa compromissione della funzionalità renale.
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