Ha senso preoccuparsi e parlare di osteoporosi nel pieno di una pandemia che ha mietuto e sta ancora mietendo migliaia di vittime? Sì, ha un significato perchè se è vero che l’attenzione mediatica si è concentrata nelle ultime settimane sui numeri sempre crescenti dei contagiati, dei ricoverati e dei deceduti a causa dell’infezione dal nuovo virus SARS-COV2, è ancor più vero che esiste una malattia presente da anni nelle nostre comunità, che può anch’essa uccidere e che ogni anno determina nel mondo quasi due milioni di ricoveri e che si chiama appunto osteoporosi.
Quali possono essere pertanto le criticità per i pazienti affetti da osteoporosi emersi in questo periodo di emergenza sanitaria?
L’articolo pubblicato questo mese dai colleghi australiani sottolinea alcune delle difficoltà e limitazioni che abbiamo incontrato e che dovremo superare nella gestione dei malati cronici ed in particolare di quelli con fragilità ossea. Quali, ad opinione di chi scrive, i maggiori spunti di riflessione dall’articolo:
- ridistribuzione delle risorse: i colleghi sottolineano come gran parte delle risorse disponibili (anche in termini di personale sanitario medico, infermieristico, fisioterapico ed assistenziale) siano state almeno temporaneamente re-indirizzate verso le strutture di emergenza COVID determinando necessariamente un ridimensionamento sia delle attività di gestione diretta degli eventi fratturativi (come ad esempio i Fracture Liaison Service) che di prevenzione (riduzione dell’esecuzioni di esami DXA o della possibilità di eseguire visite ambulatoriali programmate);
- ruolo della telemedicina: in questo scenario e a fronte anche della necessità di ridurre gli accessi in ospedale per un paziente da considerarsi fragile per se, è sempre più auspicabile avere a disposizione metodologie innovative che consentano in alcuni casi di erogare una prestazione a distanza. Tuttavia, anche se questo approccio potrebbe avere una funzione rilevante ad esempio nella gestione di pazienti già noti alla struttura e stabili, viene riconosciuta la rilevanza di un incontro face-to face nel momento in cui il paziente deve avviare o cambiare una terapia;
- valutazione del rischio di frattura: viene ribadita la necessità di valutare in maniera complessiva il rischio di frattura del paziente per poter avviare prima ancora di avere una valutazione densitometrica (che potrebbe essere difficile da ottenere in alcune realtà in questo momento storico) una terapia adeguata. Potremmo ricordare in questo contesto i pazienti in terapia cronica con glucocorticoidi o con inibitori dell’aromatasi e quelli con fratture vertebrali o femorali da fragilità in cui l’avvio della terapia può prescindere dal dato densitometrico. La valutazione del rischio di frattura potrebbe peraltro diventare in questa fase emergenziale uno strumento utile per ottimizzare l’accesso agli ambulatori specialistici e alle strutture di secondo e terzo livello a seconda della severità del quadro clinico;
- informazione precisa riguardo alla risposta di fase acuta dopo bisfosfonati ev: come è noto, la prima infusione per via endovenosa di aminobisfosfonati si accompagna in una discreta percentuale di casi ad una sintomatologia caratterizzata da iperpiressia, artromialgie e seppur più raramente congiuntivite che possono essere del tutto confusi con i segni del COVID19. Per questo motivo è ancor più importante ora informare i pazienti, i loro caregiver e i curanti di questa evenienza per evitare il sospetto (e le procedure conseguenti!!) di un’infezione da SARS-COV2 nonchè il ricorso improprio alle strutture ospedaliere;
- non sospendere denosumab: L’Agenzia Italiana del Farmaco, su pressione delle società scientifiche, ha deliberato il rinnovo automatico dei piani terapeutici dei farmaci sottoposti a monitoraggio per evitare la sospensione incontrollata delle terapie. Per quanto riguarda l’osteoporosi tralasciando gli aspetti strettamente burocratici, un’attenzione particolare è dovuta ai pazienti in terapia con denosumab in cui (come già spiegato in altre news letters precedenti) la sospensione del farmaco potrebbe causare un incremento del rischio fratturativo. In questo ambito tra l’altro la telemedicina potrebbe giocare un ruolo rilevante nel ribadire al paziente l’attenzione alla terapia e nel monitorare gli eventi avversi;
- attività fisica domiciliare: le norme di isolamento domiciliare e di distanziamento sociale hanno globalmente ridotto l’attività fisica dei pazienti affetti da osteoporosi sia per l’impossibilità di accedere a impianti specializzati che per il divieto di percorrere distanze anche modeste fuori casa. Sarebbe pertanto importante incoraggiare i pazienti a svolgere esercizi individuali a domicilio tesi a mantenere la forza, la postura e l’equilibrio e di conseguenza ridurre le cadute. Questi tipi di programmi sono disponibili in molte piattaforme raggiungibili via internet che peraltro sono utilizzate in maniera limitata dalle persone più anziane e tecnologicamente meno evolute.
L’emergenza COVID19 rischia di farci trascurare una larga fetta della popolazione affetta da patologie croniche in generale e da osteoporosi nello specifico. E’ necessario pertanto avviare una serie di strategie che permettano pur limitando gli accessi alle strutture ospedaliere di avvicinare i pazienti più fragili ad esempio con la telemedicina, comunicando in maniera efficace le informazioni più utili nella gestione della patologia, della terapia e degli eventuali effetti collaterali.
“In una crisi, ogni piccola cosa conta” – Jawaharlal Nehru