Cortesia del Dott. Giuseppe Girasole - Caso clinico 6
Pubblicate le nuove linee guida sulla diagnosi e la gestione clinica della malattia di Paget, approvate dalle più prestigiose società scientifiche del settore.
La malattia ossea di Paget è una patologia dello scheletro caratterizzata da alterazioni focali del rimodellamento osseo che conferiscono al segmento affetto un aspetto cotonoso.
Vari i quesiti clinici a cui si è cercato di dare una risposta sulla base delle evidenze (spesso molto scarse) presenti in letteratura e di cui viene in seguito riportata la sintesi.
–ruolo della radiografia tradizionale.Esistono delle caratteristiche distintive della patologia dal punto di vista radiologico che, seppur prese singolarmente possano non essere dirimenti, in combinazione consentono di solito di fare una diagnosi. Le alterazioni tipiche sono costituite dalla contemporanea presenza di aree osteolitiche, osteosclerosi, assottigliamento della corticale e dell’osso trabecolare, perdita della distinzione tra area corticale e midollo osseo, ingrandimento del segmento osseo e/o deformità dello stesso. Una radiografia di bacino, tibie, cranio ed ossa facciali andrebbe eseguita in tutti i soggetti con sospetta malattia di Paget
–ruolo della scintigrafia ossea.Utile per definire in maniera accurata le aree metabolicamente attive. Da ricordare che le lesioni sclerotiche possono risultare non captanti.
–markers biochimici.Un incremento degli indici di turnover osseo è indicativo di malattia in fase attiva. Tuttavia questo riscontro non è specifico per malattia di Paget ma si verifica in numerose altre patologie con coinvolgimento osseo. L’ALP totale (in combinazione con i test di funzione epatica per confermare che l’origine sia ossea) rappresenta l’esame di prima scelta. Altri marcatori quali l’isoenzima osseo (BALP) o il P1NP dovrebbero essere riservati a pazienti in cui l’ALP totale sia risultata normale ma in cui il sospetto clinico di malattia sia forte.
–RMN e TAC. Pochi gli studi pubblicati sull’argomento da cui peraltro emerge come queste tecniche non abbiano una valore aggiunto per la diagnosi rispetto alla radiologia convenzionale. Un ruolo viene invece riconosciuto per la valutazione delle complicanze della malattia come ad esempio nello studio della stenosi del canale o dell’osteosarcoma
–terapia farmacologica. I bisfosfonati sono il trattamento di scelta per la malattia ossea di Paget e gli unici che siano stati testati in studi randomizzati e controllati dimostrando un effetto significativo sul dolore osseo. Per quanto riguarda altri end points clinici quali la qualità di vita valutata con questionari specifici, il rischio di fratture (del segmento osseo colpito ma anche globale), la perdita di udito, la progressione dell’artrosi, la trasformazione neoplastica e l’insorgenza di deformità ossee, gli RCT non sono esaustivi in quanto o non hanno la potenza statistica per stimarli o non sono stati inseriti tra gli obiettivi dello studio. Per quanto riguarda l’uso di altri farmaci anti-riassorbitivi, la calcitonina può essere considerata per il trattamento a breve termine nei pazienti in cui i bisfosfonati siano controindicati. Non esistono studi (solo due case report) sull’uso di denosumab in questa patologia ma alcuni dati favorevoli sono stati pubblicati sul trattamento del tumore a cellule giganti (possibile complicanza della malattia di Paget) seppur con i dosaggi di farmaco riservati alle patologie neoplastiche.
–perdita ematica durante intervento in elezione. Alcuni studi osservazionali hanno riportato una perdita ematica maggiore in corso di interventi di chirurgia ortopedica eseguiti su tessuto pagetico rispetto all’osso sano. Questo dato non è consistente nelle diverse casistiche. Non è stato comunque dimostrato che il trattamento preventivo con anti-riassorbitivi possa in qualche modo influenzare questo aspetto.
–trattare i pazienti sintomatici o quelli con attività metabolica aumentata ?Sono stati pubblicati alcuni studi di follow-up a lungo termine che hanno evidenziato come un trattamento intensivo volto a normalizzare la ALP non abbia effetti superiori né sul controllo del dolore né sull’insorgenza di complicanze. Per questo motivo le linee guida sottolineano come il trattamento debba essere guidato dalla presenza di sintomi.
–trattamenti non farmacologici: chirurgia. Non sono stati fatti studi che abbiano potuto definire se un trattamento chirurgico sia migliore di un altro. In caso di frattura delle ossa lunghe va effettuato un intervento per fissare i monconi ossei anche a scopo antalgico, tuttavia l’esito clinico è generalmente scarso. Nei pazienti che sviluppano artrosi secondaria alla testa del femore o al ginocchio è indicata la sostituzione protesica totale. L’osteotomia va considerata un’opzione di seconda scelta
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