Gli inibitori di pompa protonica (PPI) e gli antagonisti dei recettori H2 dell’istamina (H2RA) sono tra i farmaci più comunemente usati nella pratica clinica. Negli Stati Uniti la prevalenza dell’uso di PPI è aumentata dal 15.7% nel 2005 al 18.5% nel 2011.
Nonostante l’accettabile profilo di sicurezza di questi farmaci, nell’ultimo decennio vari studi hanno riportato un’associazione tra utilizzo dei PPI e sfavorevoli outcomes clinici, quali rischio di frattura e insufficienza renale cronica. Una recente metanalisi ha documentato un aumento del 26% del rischio di frattura di femore nei pazienti trattati con PPI rispetto ai non trattati.
I meccanismi fisiopatologici alla base del danno osseo sono verosimilmente da ricondurre al ridotto assorbimento di calcio, all’upregulation dell’attività osteoclastica e all‘alterato riassorbimento osseo.
In un recente studio prospettico è stata indagata l’associazione tra utilizzo di PPI, utilizzo di H2RA e rischio di fratture vertebrali cliniche incidenti in oltre 55.000 donne. Lo studio ha dimostrato come la terapia con PPI si associ ad un più elevato rischio di fratture vertebrali cliniche e come tale rischio aumenti con la durata della terapia. Non è stata invece osservata una associazione statisticamente significativa tra utilizzo degli H2RA e rischio di frattura.
Si tratta di uno studio condotto su un’ampia casistica e con un periodo di osservazione di oltre 12 anni, più lungo rispetto ai lavori precedenti. I risultati di questo studio, in linea con i dati in letteratura, suggeriscono cautela nell’utilizzo dei PPI, in particolare nelle categorie di soggetti a più alto rischio di frattura.
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