Dovremmo cominciare a considerare la NAFLD tra le patologie che determinano osteoporosi secondaria?
Probabilmente sì. E’ quanto emerge dalla metanalisi recentemente pubblicata su Osteoporosis International dai colleghi cinesi che hanno raccolto quanto pubblicato al riguardo negli ultimi anni.
La NAFLD è una condizione epatica molto frequente (20-30% della popolazione generale) e rappresenta la più comune malattia cronica epatica al mondo associandosi alla sindrome metabolica (tanto che ultimamente gli esperti propongono l’acronimo MAFLD, metabolic). Il quadro può essere molto variabile andando dalla steatosi (quando più del 5% del parenchima epatico è sostituito da tessuto adiposo) fino alla steatoepatite con fibrosi e cirrosi.
Negli ultimi anni sono stati pubblicati vari lavori spesso tra loro discordanti sull’associazione tra NAFLD e osteoporosi o fratture osteoporotiche.
In questo lavoro è stata condotta un’analisi dalle più importanti banche dati che ha permesso di osservare una stretta associazione soprattutto nei soggetti di sesso maschile tra NAFLD e prevalenza/rischio di osteoporosi e fratture.
Vari sono i meccanismi patogenetici alla base di questa associazione.
In primis nei pazienti con NAFLD è stata osservata una riduzione dell’IGF-1 che è un determinante anche per l’osteoporosi.
Bisogna poi ricordare l’influenza negativa dei fattori metabolici sulla salute ossea nonché l’alterazione dell’assetto ormonale riscontrato in questi pazienti.
Non da ultimo la NAFLD è una patologia a genesi infiammatoria. TNF alfa, IL1 e soprattutto IL6 sono presenti in quantità aumentate nei pazienti con NAFLD e possono così aumentare l’attivazione degli osteoclasti e inibire indirettamente gli osteoblasti. In particolare IL6 gioca un ruolo chiave nella NAFLD: è infatti la citochina che primariamente stimola la rigenerazione epatica.
A seconda dello stadio della malattia potrebbe prevalere un meccanismo patogenetico rispetto all’altro e rendere pertanto conto della discordanza tra alcuni lavori.
L’argomento sarà ancora oggetto di ricerca e di discussione.
Ad oggi credo che dal punto di vista clinico sia importante cominciare a considerare questi soggetti come dei pazienti a rischio per osteoporosi e fratture e sottoporli ad adeguati programmi di screening e se necessario di trattamento
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