Gli effetti della supplementazione vitaminica D sulla mortalità, in soggetti con grave deficit, rimangono ad oggi non chiariti e continuo oggetto di dibattito. Questo deriva, in primis, dal fatto che la maggior parte degli studi randomizzati e controllati, non arruola pazienti con bassi livelli di vitamina D (anche per le implicazioni etiche che questo comporta). Questo tuttavia costituisce un forte limite nella valutazione dell’effetto della terapia. A ciò si aggiungono problematiche legate alla selezione dei pazienti, alla eterogeneicità dei dosaggi utilizzati, ai brevi periodi di follow up.
La randomizzazione Mendeliana rappresenta un metodo di ricerca che fornisce evidenze solide su relazioni causali tra fattori di rischio modificabili ed esiti clinici, usando le varianti genetiche per ricreare lo schema di randomizzazione in un contesto osservazionale. Gli studi di randomizzazione Mendeliana hanno meno probabilità di essere influenzati da fattori confondenti e da causalità inversa, bias che tipicamente inficiano la stima di associazione ottenuta negli studi osservazionali convenzionali.
Un recente studio australiano pubblicato su Annals of Internal Medicine ha sfruttato tale metodo per indagare la possibile associazione tra deficit vitaminico D e rischio di mortalità. In questo lavoro, originale ed innovativo, una diminuzione, geneticamente determinata, dei livelli di vitamina D è risultata associata in maniera causa-effetto ad un maggiore rischio di mortalità. Tale associazione riguarda la mortalità per tutte le cause, ma anche la mortalità per cause specifiche (eventi cardiovascolari, cancro, patologie polmonari).