E’ ben noto come la vitamina D possieda rilevanti attività immunomodulatrici a diversi livelli. Studi recenti suggeriscono un suo ruolo nella modulazione della risposta infiammatoria alle infezioni.
In studi retrospettivi, è stato dimostrato come la carenza vitaminica D si associ a maggior rischio di sviluppare infezioni batteriche e virali, anche polmonari e predisponga ad un maggior rischio di riacutizzazioni in soggetti con BPCO. Una recente metanalisi di 8 studi osservazionali su oltre 20.000 pazienti ha dimostrato l’associazione tra deficit vitaminico D e aumentato rischio di polmonite acquisita in comunità (OR=1.64 IC 95% 1-2.67).
In studi prospettici, in pazienti con polmonite ed ipovitaminosi D, il trattamento con colecalciferolo ha indotto una riduzione di IL-6 e PCR, un aumento di catelicidina, un peptide antimicrobico endogeno vitamina D-dipendente, ed un miglioramento di diversi outcomes clinici, inclusa una riduzione della mortalità. In una metanalisi di 25 studi randomizzati e controllati pubblicata nel 2017, che include 10.933 pazienti di età compresa tra i 0 e 95 anni, la supplementazione con vitamina D, giornaliera o settimanale, ha ridotto significativamente il rischio di infezione delle vie aeree (OR 0.88, IC 95% 0.81 -0.96, p<0.001). Gli effetti protettivi sono risultati più marcati nei pazienti con livelli basali di 25-OH-vitamina D minori di 25 nmol/L (OR 0.30, IC 95% 0.17-0,53). Uno studio randomizzato, controllato in doppio cieco ha studiato l’effetto della supplementazione con vitamina D sullo stato vitaminico e sui livelli di catelicidina in pazienti ricoverati in reparti di terapia intensiva. Alte dosi di vitamina D hanno riportato i livelli sierici nel range di normalità e sono correlati ad una minor durata dell’ospedalizzazione.
Sulla scorta di tali evidenze è stato ipotizzato un ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di infezioni delle vie respiratorie, nel contesto dell’influenza e, in particolare, del COVID-19. In un articolo molto recente è stato descritto per la prima volta come i livelli di 25-OH-vitamina D siano significativamente più bassi nei pazienti SARS-CoV-2 PCR positivi rispetto ai PCR negativi, ad indicare come il rischio di infezione SARS-CoV-2 sia strettamente correlato ai livelli sierici di vitamina D. Pur trattandosi di un lavoro su un gruppo ristretto di pazienti in cui mancano dati clinici sulla severità dell’infezione, lo studio sembra suggerire un possibile ruolo della supplementazione vitaminica D nel ridurre il rischio di infezione da COVID-19. Studi randomizzati e controllati si rendono necessari per confermare questa ipotesi.
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